venerdì 13 agosto 2010

Uno su mille ce la fa, ma quanto è dura la salita

Sono giorni di vuoto, questi. E rabbia. Per quello che sono, per quello che ho intorno, per quello che ci è capitato.
Si avvicina il dannato anniversario della scoperta del “problemino” (come lo chiamiamo a casa) di mio figlio e se nei primi mesi pensavo d’averlo accettato e metabolizzato quasi del tutto, oggi sento che non solo non ho accettato molto la cosa, ma che non ho metabolizzato proprio un bel niente!
Siamo stati in vacanza e lui ha fatto tutto quello che facevano gli altri bambini (a parte una serata a base di sola pizza e gelato), ma di mezzo c’erano sempre quegli odiosi controlli, il calcolo degli zuccheri e io che mi sentivo sempre sospesa e in ansia per timore di qualche brutta ipoglicemia, in quanto era sempre in continuo movimento al mare e in piscina e bruciava energia a tutto spiano.
A questo ho dovuto anche aggiungere le sue intemperanze, condite da: “Mamma, tu mi stressi!”, del tutto ignaro (lui) che quello “stress” stressava abbondantemente anche me, ma era un “male” necessario per la sua salute.
Così sono nervosa, agitata, spesso mi sveglio nel cuore della notte, prego, penso, sogno e scalpito.
Cosa mi aspetta ancora? Cosa mi riserva il futuro? Avrò un altro figlio? E se lo avrò, sarà sano?
Perché ci sono famiglie che hanno tutto (anche se i problemi vanno a cercarseli da soli) -lavori ben remunerati, case di proprietà, figli belli e sani- e famiglie che devono sempre sudarsi ogni cosa?
Perché per una volta, una volta soltanto, la mia strada non può essere scorrevole come uno scivolo?
Sono stanca di camminare sempre in salita.