martedì 29 settembre 2009

Straniero?

Stavo riordinando delle mensole, quando mi sono imbattuta in un foglio di giornale che riportava un breve articolo risalente a diversi anni fa. L'ho trovato oltremodo attuale e ho deciso di riportarlo qui sotto.
Ignoro chi ne sia l'autore, ma lo ringrazio per avermi regalato più di uno spunto di riflessione.
E in un mondo così ottuso e violento non è certamente cosa da poco.


"Il tuo Cristo era un ebreo,
la tua automobile è giapponese,
la tua pizza è napoletana,
il tuo profumo è francese,
il tuo riso è cinese,
la tua democrazia è greca,
il tuo caffè è brasiliano,
il tuo orologio è svizzero,
la tua cravatta è di seta indiana,
la tua radio è coreana,
le tue vacanze sono turche, tunisine o marocchine,
i tuoi numeri sono arabi,
le tue lettere sono latine...
E... tu rinfacci al tuo vicino
di essere straniero?"

lunedì 21 settembre 2009

Quando la malattia bussa alla porta

Rileggendo gli ultimi post e in modo particolare l’ultimo in assoluto, mi sono resa conto che Dio mi stava pian piano preparando a un dolore che, almeno per il momento, avrei ritenuto inimmaginabile.
E poi sono andata a ritroso, fino ad acciuffare i post scritti a dicembre e a gennaio, in cui dicevo che ero in un momento particolarmente felice della mia vita, ma che attendevo i capovolgimenti di fronte perché tutto muta, e non sempre in meglio.
Ebbene, l’ultimo post era dedicato a mio figlio “L’amore più grande”, in cui raccontavo come lui temesse di perderci e come mio marito ed io cercassimo di consolarlo.
Quello che non sapevo è che, a distanza di una sola settimana, noi avremmo rischiato di perdere lui. Per sempre.
Dopo una chiacchierata telefonica al pediatra (che non ha scavato a fondo sui malori di mio figlio) in cui formulavo io delle ipotesi e dopo una visita alla guardia medica che pur non avendo capito cosa fare ci ha almeno suggerito di andare subito al pronto soccorso pediatrico (vale a dire non al generico pronto soccorso, ma direttamente in ospedale al reparto di pediatria), finalmente una dottoressa e un’infermiera di esperienza hanno capito immediatamente, e soltanto ascoltando i sintomi da me elencati, cosa avesse mio figlio.
Lui beveva molto (mi sembrava strano, ma in fondo c’era un’afa incredibile e lui aveva sempre bevuto tanto), si alzava per andare in bagno anche 2 volte durante la notte e 2 volte aveva anche bagnato il letto (e non era mai successo prima), non evacuava più regolarmente (tanto che avevo dovuto fargli un clistere), avvertiva da alcuni giorni dei dolori alla pancia e un senso di malessere che non riusciva a spiegarmi, era stanco (passava dal divano al letto e giocava poco) e soprattutto (nei giorni precedenti il ricovero) aveva cominciato a respirare in modo sempre più affannoso.
Il verdetto è stato chiarissimo: DIABETE.
- In che senso?- ho detto io stranita.
- Signora, suo figlio ha quello che si definisce diabete d’esordio. Significa che dovrà fare l’insulina per tutta la vita. Ora cerchiamo di ristabilire i suoi valori e diluire il livello altissimo di zuccheri che ha nel sangue.
La testa ha cominciato a girarmi e io vedevo il suo corpicino inerme, le sue labbra disidratate, i suoi occhi che cercavano i nostri, sentivo il suo respiro così affannoso da sembrare assordante.
Lui era all’anticamera del coma e nessuno, compresi noi i suoi genitori, tranne quei due angeli vestiti di bianco, avevano capito quanto fosse grave.
Sono esplosa a piangere girandomi per non farmi vedere, mentre mio marito cercava di coprirmi affinché non spaventassi il nostro “amore più grande”.
Così ho ricacciato tutto dentro, perché lui aveva bisogno di me, e mi sono seduta accanto al suo lettino: la sua mano nella mia, il suo viso contro il mio, il mio respiro contro il suo, occhi negli occhi per scambiarci un sorriso.
Solo dopo alcuni giorni i medici ci hanno detto che hanno temuto fortemente per la sua vita nelle prime 24 ore di prognosi e che sono rimasti stupiti dalla resistenza del suo fisico:
- Se suo figlio non avesse avuto un fisico così forte, non so se ce l’avrebbe fatta.
Già...
Ma ora eccoci qua: ancora tutti insieme, ancora più saldi, ancora di più una famiglia.
L’umore si abbassa, poi s’impenna, come la glicemia di mio figlio, ma non importa.
Io e mio marito abbiamo ancora il nostro amore più grande.